mercoledì 27 luglio 2011

in pratica

domenica 3 luglio 2011

meno termodinamica, please...

Il tempo di questi tempi scorre in fretta, si precipita quasi – ed è un bene.
Arriva l’estate l’aperto gli amici il caldo il sole il sale una mondanità striminzita il desiderio che metallo termosensibile si dilata. Beninteso - nessun cambio di paradigma rivoluzione copernicana eppure…
Eppure al contempo tutto accade e tutto si spalma sul fondo, gli eventi iperattesi, i sentimenti ipertesi, le costruzioni precarie degli inattesi.
Ci sono luoghi densi. Come il basalto dei Tribunali, percorso di notte sotto i lampioni, greve di suono in ogni ora, solcato da sola schivando le blatte, annusando la verdura già marcia che insegue il forno e da lì il pesce fritto … Mio – possessivo senza soggetto. Mio il fetore mio il portico mio l’alluccare sguaiato del gabbiano sulla testa… Luoghi dove si creano e si disfano altri luoghi/luoghi altri, come il Riot, la collisione di dentro e fuori, le architetture sonore, i volti, il vino, ancora i volti.
La sintesi si darebbe pure, meravigliosa citazione di citazione citata “Du possible, sinon j’étouffe!” (Kierkegaard via Deleuze via Roberto) e solo per non apparire astratta, anche un viatico, ricetta medica (andate da voi a cercar le parole, se difettate di tedesco):




... eh sì, riposto lo stesso brano dopo solo sei mesi, ma in sei mesi cambiano un sacco di cose, vorrete mica che non cambi l'ascolto...

lunedì 9 maggio 2011

una pura formalità

Ok, nelle ultime settimane mi sono lasciata andare ad un po' di derive intimiste... Colpa delle oscillazioni climatiche, di quelle umorali al seguito e della cattiva gestione delle due.
Tra una pioggia ed una sudata poco cinema, per non dire nulla, pochissima tv, libri ancor meno... Un encefalogramma piatto, sintetizzerei.
Segni vitali zero in particolare con il barbosissimo Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati, che a dispetto di un tema fatto apposta per strappare i lacrimoni, mi ha lasciato del tutto indifferente (ad eccezione del lieve guizzo di insofferenza che sempre mi procura il malinvecchiante Bentivoglio).
C'è stato in seguito un poco entusiasmante Vallanzasca di Placido, molto televisivo nella fattura e nazionalpopolare nei sentimenti. Non m'è chiara la ragione di tanta polemica: il personaggio ne esce piuttosto meschino, né eroe né antieroe, di basso profilo. E il decantato lombardo di Rossi Stuart, in tutta onestà, non m'è parso credibile, tutto sopra le righe... Vabbè, di questo filmetto (che a ben vedere credo volesse doppiare il Mesrine di Nemico pubblico n°1 di Richet) ho detto anche troppo. Giusto per non sentirsi fuori dal chiacchericcio di base, s'è dato pure con Moretti, Habemus papam e sì, in effetti Piccoli è enorme, e d'accordo che se resta in secondo piano Moretti ci guadagna e concedo anche che il finale - inatteso - salvi parecchio però... però semplicemente è un film che dice troppo poco, che ripercorre i luoghi oramai troppo comuni del regista e nell'insieme è pure un po' disorganico, claudicante tra i diversi registri. Tuttavia è meno peggio degli ultimi Moretti visti, bisogna concederlo.
Il solo momento di puro godimento lo si è avuto con Boris il film. Esattamente ciò che desideravo e m'aspettavo, divertente, non ripiegato sulla serie tv, con alcuni momenti di agghiacciante realismo! Tra le poche cose piacevoli, infine, c'è stato pure il Comicon - vissuto un po' di striscio ma in buona compagnia - e con esso il recupero di un Fior che non delude, La signorina Else.
Nel senso complessivo di deriva che accompagna le ultime settimane, un'unica e sola ancora di salvezza (ancora per qualche settimana): la quinta stagione di Dexter!
Tutto il resto chè c'è stato (e c'è stato), merita solo d'esser taciuto. Ma per sintetizzare il tempo, gli umori e gli accadimenti, mi congedo con un quanto mai appropriato enigma:
"Un prigioniero si trova di fronte ad un grosso problema. Il boia gli ha concesso un ultimo favore:
-Puoi fare un'ultima dichiarazione, che determinerà il modo in cui morirari. Se la tua affermazione sarà falsa verrai squartato, se sarà vera sarai bruciato vivo!
Cosa deve fare il prigioniero?"

lunedì 2 maggio 2011

teorema

Cuerpo de mujer – P. Neruda
Cuerpo de mujer, blancas colinas, muslos blancos,
te pareces al mundo en tu actitud de entrega.
Mi cuerpo de labriego salvaje te socava
y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.

Fui solo como un túnel. De mí huían los pájaros
y en mí la noche entraba su invasión poderosa.
Para sobrevivirme te forjé como un arma,
como una flecha en mi arco, como una piedra en mi honda.

Pero cae la hora de la venganza, y te amo.
Cuerpo de piel, de musgo, de leche ávida y firme.
Ah los vasos del pecho! Ah los ojos de ausencia!
Ah las rosas del pubis! Ah tu voz lenta y triste!

Cuerpo de mujer mía, persistiré en tu gracia.
Mi sed, mi ansia sin límite, mi camino indeciso!
Oscuros cauces donde la sed eterna sigue,
y la fatiga sigue, y el dolor infinito.

[Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu appari al mondo nell’atto dell’offerta
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Fui deserto come un tunnel. Da me fuggirono gli uccelli
e in me la notte forzava la sua invasione poderosa.
Per sopravvivere ti ho forgiata come un'arma,
come freccia nel mio arco, pietra nella mia fionda.

Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, restero' nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mia strada indecisa!
Oscuri alvei da cui nasce l’eterna sete,
e la fatica nasce, e l’infinito dolore.
(trad. S. Quasimodo)]





venerdì 8 aprile 2011

on the road

... senza più una casa, con una casa nuova che pare poco più di un'idea, ospite in una casa cui non appartengo... domani di nuovo in piazza, perché il disagio va palesato, le porte vanno lasciate spalancate e perché, come suggeriva gaber, il giudizio universale non passa per le case. E allora bentrovati a coloro che, da domani, incontreranno il mio passo, per la strada, per quanto faticosa possa essere...

venerdì 18 febbraio 2011

lunatica

“La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. E’ un’ombra biancastra che affiora dall’azzurro intenso del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza? E’ così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste. E’ come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta; solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando, aggregandosi a spese delle macchie ed ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare o siano sbavature del cielo che ancora intridono il satellite poroso come una spugna. In questa fase il cielo è ancora qualcosa di molto compatto e concreto e non si può essere sicuri se è dalla sua superficie tesa e ininterrotta che si sta staccando quella forma rotonda e biancheggiante, d’una consistenza appena più solida delle nuvole, o e al contrario si tratta d’una corrosione del tessuto del fondo, una smagliatura della cupola, una breccia che s’apre sul nulla retrostante.” [da Palomar, Italo Calvino]

Ecco, come luna nel pomeriggio, quando il mutamento è palese, eppure non si colgono distintamente i termini della variazione; e spesso, quanto più clamoroso è lo scarto, tanto più ottusa la coscienza…

Nel settembre del 1973, ad esempio, l’infilarsi più o meno ordinato dei giorni, sembrò prevalere sulla violenza e l’abominio che pure s’imponevano: racconta questo Pablo Larrain in Post mortem, ennesima dimostrazione (dopo Tony Manero) di un teorema secondo il quale la miseria individuale e civile procedono complici e si nutrono a vicenda.

Teorema peraltro interessante oggi, in Italia, dove lo spazio pubblico e quelli privati dovrebbero entrare in stridente conflitto. Personalmente sento che gli spazi privati si fanno sempre più stretti, rattrappiscono e collassano su loro stessi, come accade al protagonista de La schiuma dei giorni di Boris Vian. La società civile è più che mai costituita di individui apolidi e i conflitti auspicabili stanno ancora cercando le parole per dirsi… Questo non è un paese per donne, e tantomeno per il pensiero dialettico.

Quanto sia decisivo il nominare le cose, poi, lo ha detto bene Celestini con La pecora nera.

L’inverno è freddo anche quando le temperature sono miti, e perciò c’è bisogno di calde consolazioni. Lo psicoterapeuta che tutti vorrebbero è ovviamente Clint Eastwood, che con Hereafter ancora una volta prende per mano, accompagna a pensare la morte, la separazione e il dolore come dicendo “su, coraggio…”, ed anche il pensiero razionale tira un sospiro di sollievo grazie alla potenza liberatoria del dubbio.

Pure l’amore non guasta, ed è dolciastra e triste e bella l’idea che possa sopravvivere persino all’evaporare dell’io, come accade ne La versione di Barney di R. Lewis. O che, se la sua assenza è mera e grigia ripetizione, l’amore possa essere la differenza, come in Wristcutters di G. Dukic…. Altro che i bacetti da post sophisticated comedy di Il truffacuori di P. Chaumeil e la debole piacioneria di Romain Duris (molto meglio cupo e sofferto nel forte Tutti i battiti del mio cuore di J. Audiard).

Se poi proprio si vuol sorridere, meglio ricorrere alla sexy-zantraglie nel palazzo dello spagnolo o ai sulfurei balletti nella solfatara di Passione di Turturro, che incappare nella piattezza insulsa di Parto col folle di T. Phillips. Migliore dell’ultimo visto – ci voleva poco - ma comunque lontano dai tempi d’oro di Gocce d’acqua su pietra rovente, l’ultimo Ozon, Potiche, si fa guardare e ogni tanto fa anche ridere. Discutibile per scelta e disturbante forse per convenienza, ma tuttavia intrigante, il massacro tra i ghiacci di Kill me please di O. Barco. Semplicemente agghiacciante invece, d’inverno come d’estate, il delirio registrato e raccontato nel documentario This is my land… Hebron di G. Amati e S. Natanson. E dopo lo schiaffo della dura realtà la sola terapia è farsi accogliere dalle lenzuola sfogliando le tavole di Manuele Fior, Cinquemila chilometri al secondo, dove l’esplosione cromatica segna il binario di un lungo viaggio, fatto ancora una volta di salti fra lo spazio e il tempo come in Rosso oltremare, ma meno simbolico e fors’anche più commovente.

That’s all folks!




lunedì 14 febbraio 2011

società civile





napoli 13 febbraio 2011